Il Porto Romano
Il porto è il risultato di una escavazione artificiale (ben 60.000 metri cubi asportati) del banco tufaceo che degradava a mare: ne è venuto fuori un bacino profondo in media m. 3 completamente circondato, e quindi protetto, dalla roccia. Un porto anomalo quindi, non tanto proteso in mare quanto tenacemente aggrappato alla terraferma, quasi timoroso e presago della tremenda forza dei marosi che l'avrebbero incessantemente flagellato per secoli. La sua realizzazione va posta nel quadro dello sfruttamento intensivo dell'isola, iniziatosi nel periodo di trapasso tra Repubblica e Impero e va comunque considerata già interamente compiuta nella prima età augustea, con l'annessione di Ventotene tra le proprietà imperiali. L'imboccatura del porto, rivolta ad Est, consente l'accesso anche in condizioni di tempo cattivo
con venti di Maestrale e Libeccio; la conformazione interna del bacino, parallelo alla linea di costa in direzione Nord-Sud, offre una validissima protezione contro tutti i venti; solo i venti forti da SE provocano all'interno una leggera risacca, noiosa ma non sempre pericolosa.
Il porto grazie alla sua felice collocazione, veniva a costituire il cardine dello sfruttamento residenziale di Ventotene, incentrato nella fronte orientale dell'isola (villa a Punta Eolo).
Il porto doveva essere utilizzato principalmente da navi onerarie di piccola e media stazza, in grado di assicurare regolarmente, salvo eccezionali avverse condizioni metereologiche, i rifornimenti ed il periodico collegamento con la terraferma agli abitanti dell'isola. In caso di necessità il porto costituiva un valido ricovero anche per imbarcazioni di maggiori dimensioni
fino a 30/35 m. di lunghezza. Dato che le navi da carico utilizzavano esclusivamente la vela quadra e non i remi, è probabile che le grandi bitte, ancor oggi visibili all'imboccatura del porto, servissero, oltre che a sbarrare l'accesso con l'aiuto di catene, che dovevano essere alloggiate in una retrostante piccola grotta scavata nel tufo, anche a facilitare l'ingresso, in caso di necessità, grazie all'ausilio di cime da traino a terra.
La Peschiera Romana
Nella parte centrale del banco roccioso che si protende in mare, ai piedi dell'attuale faro, fanno ancora bella mostra di se i resti di una peschiera del tipo ex petra excisa, cioé scavata nella roccia, particolarmente raccomandata da Columella (il grande teorizzatore dell'ittocolutura, vissuto nel I sec. d.C.) per l'efficacia produttiva.
Le peschiere erano dotate sul fondo di canali per il ricambio delle acque, congegnati con una sorta di chiusura a saracinesca, così da impedire la dispersione in mare dei pesci; inoltre esistevano canali di collegamento tra le vasche attraverso i quali si facevano convogliare i pesci da uno scomparto all'altro.
Oltre ad assicurare ai pesci un'acqua mai stagnante, si provvedeva anche a ricreare l'ambiente marino a loro congeniale mediante piccoli scogli coperti da alghe o anfratti ricavati nelle strutture e ancora, come a Ventotene, zone coperte e ombrose per proteggerli dal forte sole estivo.La realizzazione di peschiere rappresenta una delle caratteristiche del mondo romano, durante

il I sec. a.C. negli ambienti di ceto sociale elevato si comincia a prediligere il pesce marino e le ville marittime della famiglia imperiale vengono dotate di peschiere sofisticate, mentre il pesce d'acqua dolce, continua ad essere apprezzato solo dalle classi povere.In particolare nella struttura di Ventotene, possiamo notare una tripartizione del complesso ittico.
Partendo dalla costa abbiamo due vasche coperte nelle quali tra l'altro sfociavano i condotti di acqua dolce per la miscelazione con quella marina, in cui i pesci potevano rimanere al riparo da sole e dal moto ondoso; qui potevano anche, grazie ai ricettacoli sommersi, procedere alla deposizione delle uova per una tranquilla nidificazione. In queste vasche l'agibilità interna era assicurata, soprattutto per il personale di servizio, da una banchina risparmiata nel banco tufaceo, oggi a pelo d'acqua ma anticamente emergente, larga circa 1 m. Questi ambienti, come mostrano ancora delle tracce, erano decorati con intonaci e stucchi colorati.
Segue poi un settore, quello centrale scoperto, caratterizzato da una grande vasca delimitata da una banchina, oggi sommersa, larga circa m. 1,50. La vasca era divisa in due da un diaframma in cui si aprivano due saracinesche. Nel vano meridionale era ricavata una orditura di murature circolari che delineavano concamerazioni nelle quali potevano circolare i pesci, guidati e
obbligati nel percorso da una sapiente sistemazione di grate e paratie manovrabili dall'alto e fornite di fori calibrati per consentire il passaggio dell'acqua e nel contempo impedire la fuga dei pesci. Il settore più avanzato era costituito da un avancorpo, risparmiato nel banco tufaceo, che fungeva da frangiflutto per proteggere il vivaio dalle mareggiate. Era questo il settore
in cui venivano ricavati i canali di comunicazione con il mare che consentivano il regolare cambio delle acque. Gli stessi canali dovevano a volte servire, con la miscelazione dell'acqua marina e quella dolce, ad attirari i pesci dal mare immettendoli direttamente nella peschiera.
Venivano creati, a partire dalla fronte a mare, percorsi obbligati in cui attirare, con una dosata e crescente miscelazione con l'acqua dolce, i pesci cui, man mano avanzavano nella piscina, veniva impedita la fuga calando alle spalle le saracinesche.
La Villa di Punta Eolo
La villa , detta comunemente di Giulia dal nome della prima esiliata, si distende per oltre trecento metri di lunghezza e circa cento di larghezza, sul promontorio di Punta Eolo.
Occorrerà solo un pò di attenzione per riconoscervi cortili, stanze, corridoi, giardini, cisterne, terme ecc., vale a dire tutto quell'insieme di elementi che costituivano l'intelaiatura della maestosa villa.Quasi ovunque regna sovrana l'opera reticolata, affiancata qua e là da strutture in laterizio fatte di sole tegole: è questo un indizio sicuro per la cronologia dell'impianto originario che andrà fissata alla prima età augustea. Tracce di rifacimenti con mattoni, con rozza muratura o addirittura con strutture di recupero, si vedranno un pò ovunque, soprattutto in quelle parti maggiormente esposte all'azione combinata del vento e dei marosi.
Le Cisterne e l'acquedotto
Al tempo dei romani l'approvvigionamento idrico veniva costantemente garantito dalla presenza, nelle zone abitate, di serbatoi in cui veniva convogliata, mediante vasche di raccolta e canali di immissione, l'acqua piovana. Il punto nevralgico del sistema di alimentazione di tutta l'isola è situato in posizione strategica e funzionale, quasi a metà dell'isola. Non potendo contare, contrariamente ad es. a Ponza, su di una sorgente in grado di soddisfare costantemente le richieste idriche, a Ventotene si fece ricorso alla istallazione di due enormi serbatoi, capaci di raccogliere direttamente le acque piovane e indirettamente

quelle di filtrazione. Si crearono così due grandi contenitori nel lato meridionale dell'isola, così da poter captare e incanalare le acque di filtrazione provenienti dai displuvi a a monte e nel contempo raccogliere, per la loro particolare stutturazione, quanta più acqua possibile durante le periodiche precipitazioni piovose.
L'isola di Santo Stefano
La storia di quest'isolotto si può ricollegare a quella della sua gemella Ventotene almeno fino al periodo antistante quello dei Borboni, quando S. Stefano verrà destinata al lucubre compito di isola penitenziario (dal tempo dei Borboni fino a tre decenni fa).
L'isola è ancora dominata dall'edificio carcerario abbandonato al suo destino ma tuttora mastodontico e integro nella sua struttura che ricorda allo stesso tempo castelli di Kafkiana memoria e follie barocche napoletane.